Ieri ho partecipato, in qualità di pubblico, al convegno dal titolo “Dissesto Idrogeologico: le infrastrutture come telaio diagnostico per monitorare il territorio” (vedi locandina-cesi) organizzato (con il supporto del governo) per un confronto sullo stato delle grandi infrastrutture in Italia come “telaio diagnostico” per monitorare le vulnerabilità idrogeologiche del nostro territorio e in quest’ottica lo sfruttamento del “internet of things”, per il quale le cose possono comunicare informazioni su stesse, si rendono intelligenti ed utili per esempio nel campo dell’osservazione costante di situazioni ambientali. Le aziende intervenute in questo confronto sono state molte: Anas, Enel, Terna (rete elettrica nazionale), Ferrovie dello Stato (FS) e RFI. Tutte hanno mostrato quali e quante misure hanno messo in campo per le attività di monitoraggio del dissesto idrogeologico. Per riportare alcuni esempi, Terna ha presentato il grandioso progetto di sfruttamento di oltre 200.000 tralicci per il passaggio della fibra ottica (ma a questo punto dico: avete considerato i campi elettromagnetici?); Enel mette a disposizione le proprie cabine di cablaggio. Il monitoraggio viene effettuato tramite le infrastrutture di cui ogni azienda dispone, con tecnologie diverse secondo i campi di interesse e nei limiti delle competenze. Al convegno era presente il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasposti al quale da tempo si è chiesto un piano nazionale per monitorare efficacemente tutto il territorio. In quest’occasione però il cavallo di battaglia del MIT è stata la realizzazione in corso della galleria più lunga del mondo (60 km!) della quale peraltro non conosciamo i costi, e poi l’orgoglio per il MOSE, che a quanto pare attira l’attenzione anche degli americani. Ancora nessuna volontà di un piano di monitoraggio nazionale da parte del MIT che si affida agli strumenti messi a disposizione dalle aziende come Anas e Enel per le quali poi eroga dei finanziamenti. Ritengo che sia giunto ormai da tempo il momento di una linea d’azione nazionale sul monitoraggio delle aree sensibili al dissesto idrogeologico. Condivido l’idea di avere un unico strumento di controllo del territorio da mettere a disposizione delle aziende. Ecco quindi un’altra occasione persa, per un confronto prezioso e costruttivo: nessun accenno ai piani paesaggistici assenti e degli orfani di gestioni fantasma del territorio. In ultimo, la differenza di cifre con la Francia, portata ad esempio durante la conferenza, la quale gestiscee il dissesto idrogeologico con l’equivalente del nostro INGV; noi invece lasciamo tutto nelle mani di Anas, FS, Enel e le altre. Negli ultimi anni infatti i fondi per le attività di ISPRA e INGV sono stati drammaticamente ridotti: cosa si può pretendere dai questi istituti nazionali, per nulla incoraggiati nella ricerca e nello sviluppo di strumenti ad alta tecnologia?