Lo scorso 11 dicembre, con la pubblicazione del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 (decreto Scia2), sono entrate in vigore le nuove norme sulla semplificazione delle attività private in materia di commercio, ambiente ed edilizia.
Questo decreto – che modifica il DPR 380/2001, Testo unico Edilizia (rinnovato in 45 punti) ed introduce il tabellone unico nazionale (intervento-titolo abilitativo) – provvede alla precisa individuazione delle attività oggetto di procedimento, anche telematico, di comunicazione o segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) o di silenzio-assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso e introduce le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.
Bene! il riordino della disciplina nazionale su queste materie era necessario ed atteso da tempo. Ma, tuttavia, ci chiediamo: in che modo deve essere interpretata la norma dell’articolo 6, secondo la quale “le regioni e gli enti locali si adeguano alle disposizioni del presente decreto entro il 30 giugno 2017”?
A ben vedere, sembra si tratti di un regime transitorio per così dire “anomalo” o, se vogliamo, “innovativo”; le nuove norme, ora in vigore, sono certamente da subito vincolanti ma fatta salva, appunto, l’attività (obbligatoria) di recepimento ed adeguamento da parte di regioni ed enti locali. Possiamo pensare, dunque, che in questo lasso di tempo sarà consentita l’applicazione sia delle nuove che delle vecchie regole, e questo sulla base della discrezionalità di ciascuna amministrazione.
In questa finestra temporale – nelle more dei rispettivi adattamenti alle leggi regionali, ai regolamenti edilizi comunali e alle norme tecniche di attuazione del PRG – si rischia il caos: come si comporteranno gli uffici comunali preposti alla approvazione dei progetti e degli interventi da realizzare nel caso in cui non si sia ancora provveduto ad una armonizzazione delle regole da applicare? Voglio infatti sottolineare che il citato articolo 6 delega sia le regioni ma anche i singoli comuni ad auto-adeguarsi alla norma nazionale e siamo quindi convinti che questo eccesso di delega potrà solo creare caos e libero arbitrio e conseguentemente burocratizzare ulteriormente le attività dei cittadini che magari su comuni limitrofi vedranno applicare la stessa norma in modo differente.
Durante questa fase transitoria quindi non sarà agevole interpretare le nuove regole sulla semplificazione delle attività private in materia di commercio, ambiente ed edilizia rispetto alle discipline regionali e locali vigenti (e non ancora modificate); occorre un intervento chiarificatore in questo senso, per evitare confusione tra gli addetti ai lavori e per assicurare un adeguato coordinamento tra i vari livelli di legislazione nel settore (anche per scongiurare eventuali ricorsi “a cascata” al TAR, che inevitabilmente finirebbero, da un lato, con l’intasare gli uffici giudiziari competenti e, dall’altro, porterebbero gli enti locali a rimandare l’adeguamento).
A questa situazione si aggiunge, peraltro, il mancato aggiornamento da parte dei Comuni dei rispettivi piani regolatori (molti dei quali sono vigenti ma scaduti da tempo) o addirittura degli ancora più datati piani di fabbricazione.
Ci aspettiamo, dunque, un impegno concreto da parte degli enti locali nel recepire, il prima possibile, le indicazioni date dalla legge nazionale, evitando così contrasti normativi e conseguenti situazioni di stallo nei procedimenti amministrativi; bisogna sottrarre campo alle incertezze sulla disciplina da applicare e stabilire da subito regole chiare per supportare l’azione amministrativa in materia edilizia da parte delle regioni e degli enti locali. Non crediamo che tentare di aggirare l’efficacia delle nuove norme (avallata di fatto dalla delega dell’articolo 6 citato) possa assicurare una tutela effettiva degli interessi dei cittadini, interessi troppo spesso mortificati dalla inesatta o dalla mancata applicazione della legge.
Per queste ragioni ho depositato un’interrogazione parlamentare che potete vedere al seguente link:
Link interrogazione e di seguito anche la assurda risposta del ministero delle Infrastrutture che non ha saputo neppure indicare qual è il “Dicastero” di riferimento: “… Circa la possibilità dell’insorgenza di problematiche di natura applicativa della nuova disciplina da parte di tali enti, sì segnala che verranno interessati i competenti Dicasteri al fine di approfondire con gli enti territoriali l’eventuale sussistenza di criticità in ordine all’uniforme e ordinata transizione tra il nuovo impianto normativo e le attuali discipline regionali e comunali in materia edilizia.”.
La risposta del governo si commenta da sola, non ci resta che aspettare il 30 giugno per avere conferma di come le regioni e gli enti locali avranno interpretato a loro piacimento questa norma; all’indomani di questa scadenza si prospetteranno due possibili scelte: o la corte costituzionale impugnerà le norme di secondo e terzo livello che si discosteranno dalla norma nazionale (possibilità purtroppo purtroppo remota in tempo di elezioni) oppure si andrà nuovamente in deroga.